San Giulio - Sant’Egidio (San Giovanni alle Terme?)

Civitavecchia


In uno dei suoi numerosi scritti, dove raccoglieva «le testimonianze di fatti dalla voce di coloro che se ne dicevano testimoni, e così pur dalle tradizioni formatesi fra il popolo», papa Gregorio Magno racconta un episodio prodigioso avvenuto presso una piccola chiesa di campagna, situata a qualche chilometro di distanza da Civitavecchia.
Secondo una tradizione locale la piccola chiesa citata da Gregorio Magno sarebbe da identificarsi con la chiesa templare di San Giulio che, ancora fino a qualche decennio fa era conosciuta con la dedicazione di San Giovanni alle Terme.
È certo, però, che i ruderi attualmente visibili sono da attribuire a una chiesa che, nel corso dei secoli, è stata indicata con tre dedicazioni differenti: San Giulio, Sant’Egidio, San Giovanni alle Terme.

Periodo templare

L’appartenenza di San Giulio all’Ordine del Tempio è documentata negli atti del processo ai templari, iniziato nel 1309, a Roma, nel Lazio, nel ducato di Spoleto e negli Abruzzi.
Ma la data di appartenenza alla militia Christi potrebbe essere retrodatata al 1244, quando Innocenzo IV, per sfuggire a Federico II che si trovava ad Acquapendente, lasciò nottetempo Sutri, per recarsi a Civitavecchia, nel cui porto lo attendevano le galee genovesi pronte a portarlo in salvo in Francia.
Le cronache raccontano che il papa, giunto in prossimità della città, si fermò in una piccola chiesa di campagna, che potrebbe essere identificata con quella templare di San Giulio: oltre ad essere situata lungo il percorso seguito dal pontefice, questo era accompagnato dal suo cubiculario templare, fra’ Bonvicino, promotore della costruzione della chiesa di San Bevignate di Perugia, il quale sicuramente avrà offerto a Innocenzo la protezione e l’ospitalità dei suoi confratelli.
Come in altre proprietà dell’Ordine a San Giulio vennero affisse le citazioni del processo e, durante gli interrogatori, il fratello di mestiere Vivolo de Villa Sancti Iustini dichiarò di aver prestato servizio in questa e in altre precettorie templari, dove si elargivano le elemosine ai poveri, veniva dato da mangiare a tre poveri al giorno e molti di questi erano anche ospitati.

Periodo giovannita

La chiesa non risulta passata immediatamente agli ospedalieri, in virtù della bolla del 1312 Ad providam Christi Vicarii, con la quale Clemente V ordinò il trasferimento di tutti i beni dell’Ordine del Tempio a quello di San Giovanni di Gerusalemme. Qualche decennio più tardi, nel 1356, la chiesa risulta già andata in rovina, come documentato da una procura del clero tuscanese per il processo dell’allibrato di quell’anno.
Circa un secolo dopo la chiesa figura tra le proprietà degli ospedalieri, come testimoniato da documenti conservati negli Archives of the Order of Malta, presso la National Library di Valletta.
Nel primo, facente parte del Liber bullarum magistrorum del gran maestro giovannita Jean de Lastich e relativo agli anni 1441/1442, San Giulio risulta di proprietà della commenda gerosolimitana, ma ex templare, di Santa Maria in Carbonara di Viterbo. È da supporre quindi che già in epoca templare San Giulio fosse dipendente dalla chiesa di Santa Maria in Carbonara e che, insieme agli altri beni a questa spettanti, sia passata all’Ordine di San Giovanni in forza della sopra citata bolla.
Nel secondo documento, Inventario della Commenda di Santa Maria in Carbonara di Viterbo fatto l’anno 1449 viene indicata l’ubicazione di San Giulio e della sua tenuta, confermando quanto riportato al tempo dei processi, quando veniva indicata come «prope Civitatem Vetulam».
Il 24 luglio 1466 il gran maestro Pedro Ramon Zacosta, su richiesta di fra’ Troilo da Montemelino, priore di Roma, ratifica la ristrutturazione gerarchica delle precettorie dipendenti dal priorato di Roma approvata il 13 luglio 1453 dal Capitolo provinciale; in questo documento la chiesa di San Giulio di Civitavecchia viene confermata dipendente dalla commenda viterbese di Santa Maria in Carbonara.

In una visita apostolica del 1573 si specifica che della chiesa di San Giulio, indicata al tempo con la dedicazione a Sant’Egidio, «non restavano che delle mura dirute».
Non è noto quando possa essere avvenuto il cambio di titolo tra un santo e l’altro, ma una Copia di una scrittura cavata dalla Cancelleria della Commenda di Santa Maria in Carbonara di Viterbo, del 18 ottobre 1586, attesta la presa di possesso da parte di fra’ Vincenzo Ginori di Firenze, commendatore di Santa Maria in Carbonara, della «ecclesia et tenuta Sancti Julii seu Santi Gili in territorio Civitatis Vetule cum omnibus terris, pratis, hortis, silvis seu sterpalia». È evidente come sul finire del XVI secolo la stessa chiesa venisse chiamata indifferentemente con i nomi di San Giulio o di Sant’Egidio.
In una lettera del 25 gennaio 1590, indirizzata ai suoi superiori di Roma, fra’ Vincenzo Ginori rende conto del suo operato come commendatore, spiegando di aver recuperato i terreni della chiesa, sempre allo stato di rudere, occupati da privati: è l’ultimo atto in cui San Giulio viene citato con il nome templare, dal Seicento in poi verrà indicato con il nome di Sant’Egidio.

(Enzo Valentini)

Referenze fotografiche: Enzo Valentini

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Indirizzo: Via Andrea Moneta snc, Civitavecchia
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In sintesi

  • Regione: Lazio
  • Provincia: Roma
  • Comune: Civitavecchia
  • Indirizzo: Via Andrea Moneta snc, Civitavecchia

Per saperne di più

BIBLIOGRAFIA
A. GILMOUR BRYSON,The Trial of Templars in the Papal State and Abruzzi,Città del Vaticano 1982.
C. MARLETTA, La chiesa e il campanile di Sant’Egidio Vecchio presso le Terme di Traiano, in Civitavecchia e il suo entroterra durante il Medioevo, Associazione archeologica Centumcellae, Civitavecchia 1986, pp. 73-84.
F. CORRENTI, Chome lo papa uole… -Note per una rilettura critica della storia urbanistica di Civitavecchia, Civitavecchia 2005.
E. VALENTINI, I Templari a Civitavecchia e nel territorio fra Tarquinia a Cerveteri, Tuscania 2008.
E. VALENTINI, La presenza templare nel Lazio, in C. GUZZO (a cura di), I Templari nell’Italia centro-meridionale. Storia e architettura, Tuscania 20172, pp. 131-166.

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